Crisi Harley Davidson: 200 dipendenti licenziati

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Tempi duri per l’Harley Davidson. La sede di Adelaide, nel sud dell’Australia, del colosso di Milwaukee chiude i battenti. La produzione di mozzi e ruote dell’impianto di Castelloy viene spostata in Giappone e negli Stati Uniti ovvero oltre 200 lavoratori (183 dipendenti e 29 a contratto) sono costretti a rimanere a casa. Non bastano i 5.000 dollari che il governo offrirà a ogni dipendente licenziato per rilanciarsi nel mercato del lavoro, per placare le ire. A quanto pare, infatti, Harley Davidson ha anticipato la decisione di chiusura (a meno di tre settimane dalle festività natalizie) nonostante le rassicurazioni che avrebbe dato a sindacati ed esecutivo australiano. Il passaggio dovrebbe essere completato entro la metà del 2013 e dovrebbe condurre a un risparmio annuo pari 9 milioni di dollari a partire dal 2014.

La decisione si inserisce in un contesto più generale messo a punto dal produttore nel 2009 e che prevede la ristrutturazione e il consolidamento della catena produttiva con lo scopo di restituire maggiore competitività, efficienza e flessibilità. Pat Sweeney, direttore delle operazioni e delle Comunicazioni della casa motociclistica statunitense, ha provato a motivare la decisione: “È stata una decisione difficile. La forza lavoro è stata molto attaccata al proprio lavoro e a noi piace quello che facciamo. I mozzi saranno prodotti in Giappone e negli Stati Uniti, contrariamente a quanto ho sentito dire riguardo alla Cina. La ditta di Castalloy aveva diverse falle che volevamo chiudere. Stiamo facendo degli investimenti a lungo termine in un’economia sempre più dura, e al momento abbiamo ristrutturato le industrie negli Stati Uniti. Noi cerchiamo di rimanere competitivi, continuando a offrire i prodotti che vogliono i nostri clienti”.

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