Honda RC211V, RC212V e RC213V: un’evoluzione vincente in MotoGP [FOTO]

Alchimia tra tecnica e talento

Personaggi e trionfi collegati agli ultimi prototipi da competizioni realizzati dalla Casa Alata per la classe regina delle due ruote

Le Honda RC211V, RC212V e RC213V sono state protagoniste nelle ultime 18 stagioni di MotoGP, partendo dal 2002, consentendo la conquista di ben 22 titoli mondiali tra Campionati Piloti e Costruttori, grazie all’abilità dei tecnici HRC e dei piloti impegnati nel corso degli anni.

Stagioni trionfali

Sono 153 i sigilli piazzati nell’arco del periodo in esame. Attualmente non si corre a causa dell’emergenza sanitaria collegata al Coronavirus COVID-19. Si ricorda anche l’epocale passaggio della classe MotoGP ai quattro tempi, dopo le “funamboliche” due tempi. Mezzi che ancora oggi sono un emblema per le passate generazioni di rider. Un transito a cui si affianca l’introduzioni di soluzioni tecnologiche che con il tempo, seguendo criteri produttivi, giungono anche sui modelli di produzione.
Le recenti Honda RC211V, RC212V e l’ultima RC213V seguono in successione la denominazione associata dalla casa giapponese ai suoi esemplari da corsa, in evidenza già negli anni ’60. RC è l’acronimo di Racing Cycle, cioè “moto da competizione”; mentre la cifra 211, 212 o 213 segnala la scansione progressiva dei modelli sviluppati per i GP nel nuovo secolo. In pratica la prima, la seconda e la terza moto in questo XXI secolo. Infine V sottolinea la configurazione del motore a cinque o quattro cilindri che anima questi prototipi.

Honda RC211V

Questo progetto è stata impiegato dal 2002, anno del citato passaggio ai quattro tempi. Lo è stato sino 2006. Tanti i nomi che hanno guidato questo modello, compreso Valentino Rossi. Il Dottore, dopo l’esperienza in sella alla leggendaria NSR500, ha saputo sfruttarne al massimo il potenziale. Ma non è stato il solo. Su questo prototipo hanno corso piloti come Alex Barros, Max Biaggi, Toni Elias, Sete Gibernau (pilota ricordato soprattutto per la serrata battaglia nel 2005 con Rossi, passato in Yamaha), il compianto Nicky Hayden, Marco Melandri, Dani Pedrosa, Makoto Tamada e Tohru Ukawa, elencati in ordine alfabetico.
Sono 48 i successi in MotoGP contati tra il 2002 e il 2006. Tre i Titoli Piloti (i primi due conquistati da Valentino Rossi nel 2002 e nel 2003, il terzo dallo statunitense Hayden nel 2006 in una delle stagioni più intense che si ricordino) e quattro quelli Costruttori.
Questa moto basata in parte sul progetto delle generazioni precedenti, ma adottando anche soluzioni più legati ad alcuni modelli di serie, presenta un motore a V da 75,5° da 990 cc, con tre cilindri anteriori e due retrostanti. Nevralgica la “centralizzazione delle masse” facendo convergere i pesi attorno al corpo centrale del mezzo, per ottimizzarne l’efficienza. Soprattutto la dislocazione del serbatoio, con un terzo della benzina sotto il pilota, accentrando anche il carico del carburante favorendo lo stesso approccio dei piloti nelle prime fasi di gara, considerando anche la precedente difficoltà nel gestire proprio la massa di carburante alloggiata nella parte alta. Riprendendo quanto segnalato dal Reparto Corse Honda, se una NSR500 raggiungeva il 70% del proprio potenziale nei primi giri, la percentuale sul nuovo progetto spaziava in queste stesse fasi fra l’80 e il 90%.
Tornando al motore, a proposito dello sviluppo dei cilindri, si è tratto spunto dall’esperienza con il motore V4 legato alla RC45. Il modello vincente nel Campionato Mondiale Superbike del 1997. Lo si percepisce notando una camera di combustione e valori di alesaggio e corsa similari. Interessante anche la fasatura “big bang” per l’aderenza retrostante, riprendendo un concetto applicato sulla Honda NSR500 e introdotto già dal lontano 1992.
Assieme a telaio e design, peculiare è stata anche la curva di coppia “piatta”, consentendo ai piloti di sfruttare al massimo la trazione a vantaggio delle stesse performance.
Inizialmente la potenza espressa raggiunse i 220 cavalli, con una messa a punto non sempre ottimale. Basta considerare le prestazioni del modello affidato a Ukawa, che raggiunse i 324,5 km/h al Mugello nel giugno 2002. Ma nell’ultima stagione in cui sono stati protagonisti i prototipi spinti da unità da 990 cc, il livello di potenza era già aumentato notevolmente, dato che Casey Stoner proprio al Mugello portò l’indicatore del tachimetro a quota 334 km/h.

Honda RC212V

Rispondendo ai cambiamenti regolamentari del 2007, in primis il ridimensionamento della cilindrata dei motori da 990 a 800 cc, fu realizzata una nuova moto facendo tesoro dell’esperienza fatta negli anni precedenti.
Un prototipo diverso, considerando la presenza di un cuore più piccolo e meno potente. Di conseguenza richiedeva uno stile di guida differente, ossia più consistente in curva. All’inizio il percorso non fu facile, ma col tempo arrivarono altri successi grazie a progressivi affinamenti su motore, telaio ed elettronica, in particolare con quest’ultima.
L’iniziale difficoltà era legata proprio all’erogazione, nonostante la ridotta potenza. Lo stesso V4 con angolo più stretto oltrepassava i 18.000 giri/min, ossia 2.000 in più del precessore, dotato di molle pneumatiche per una gestione più efficiente dell’alzata valvole ai regimi più alti. La curva di potenza era più ripida e dunque erano necessari sistemi elettronici evoluti come Anti-Wheelie, Traction Control e Launch Control. Da qui i tempi sempre più bassi sul giro, dato che la maggiore velocità in curva compensava la lieve riduzione di accelerazione e velocità massima. Sempre sul Mugello, Pedrosa in sella a una RC212V raggiunse i 317,6 km all’ora, firmando un tempo appena 0,037 secondi più lento del record fatto con un prototipo da 990 cc, come ricordato. A testimonianza del costante progresso.
Poi sono stati diversi i telai disegnati, valutando il giusto equilibrio tra reattività e stabilità, partendo dall’impiego di una base in alluminio con sezioni lavorate al CNC, mentre nel 2010 fu valutato un composito frutto di alluminio e fibra di carbonio, assieme a sospensioni Öhlins. Nel 2011, stagione in cui vinse Casey Stoner, la moto era dotata di un telaio interamente in alluminio. Proprio in quello stesso anno le prestazioni rese dalle 800 erano nettamente migliorate rispetto alle generazioni da 990 cc, tenendo presente che ancora al Mugello erano due secondi più veloci, se si considera la gara corsa nel 2006.
Inoltre nelle ultime fasi di questa evoluzione, il costruttore giapponese adottò due importanti tecnologie riprese dalla Formula 1: un sensore di coppia sull’albero secondario del cambio (il denominato Torductor) nel 2010 e un cambio seamless nel 2011.

Honda RC213V

Dal 2012 sino ad ora la cilindrata è diventata di 1.000 cc. Quella abbinata a un nuovo progetto. Una nuova fase collegata a una terza moto, frutto ancora dell’esperienza accumulata in precedenza ma con novità di rilievo. Non si può considerare un semplice incremento di cubatura, ma qualcosa di completamente nuovo partendo proprio da un motore V4 con un diverso e più ampio angolo tra le bancate, ora di 90°. Come il motore a pistoni ovali della NR500 dei primi anni Ottanta e i vari modelli stradali VF750, VFR750, RC30 e RC45 tra anni ’80 e ’90.
Pur non essendo così compatto come i precedenti, sono emersi dei vantaggi ricavabili dall’ottimizzato bilanciamento delle masse, oltre ad aspetti come affidabilità e messa appunto nella sperimentazione di varie fasature “big bang” e un accurato sviluppo di componenti legati a telaio, airbox, scarico e serbatoio, ridimensionando le dimensioni complessive del mezzo.
Le grandi potenzialità del nuovo prototipo sono affiorate già nel 2012, ancora sul tracciato del Mugello, quando Dani Pedrosa è riuscito a limare di ben 4,9 secondi il record sul giro siglato nel 2002, toccando 342,9 km/h sul rettilineo. Ovvero 18,4 km/h in più rispetto alla RC211V. E poi è nato il binomio vincente costituito dalla nuova RC213V e l’astro nascente Marc Márquez. Nel 2013 lo spagnolo è diventato il primo esordiente iridato in MotoGP, eguagliando ciò che era riuscito solo a Kenny Roberts nel 1978, nell’allora classe 500. Su questa moto nel corso delle stagioni hanno vinto anche piloti come Casey Stoner, Dani Pedrosa, Cal Crutchlow e Jack Miller.
Márquez si è ripetuto anche nel 2014, conquistando 13 gare su 18 appuntamenti. Un record stagionale pari a quello di Mick Doohan in sella alla NSR500 nel 1997. La serie si è interrotta nel 2015 nonostante i 7 successi ottenuti da Márquez e Pedrosa, quindi nel 2016, con i nuovi cambiamenti regolamentari, l’arrivo di Michelin nella fornitura e l’adozione di una centralina unica, suggerì ai tecnici un “addolcimento” dell’erogazione con necessari e successivi interventi come un’inversione della direzione di rotazione dell’albero motore e una modifica delle fasature, riprendendo ancora le indicazioni. Un lavoro che ha interessato anche l’aerodinamica, con un’evoluzione applicata per ricavare maggior carico utile a stabilità e prestazioni. Nella stagione 2019 lo spagnolo ha vinto ancora, siglando un altro trionfo nell’ultima tappa a Valencia. Il suo 56° successo in MotoGP e l’81° per la RC213V in otto anni di attività, su 145 corse disputate dall’introduzione dei motori 1.000 cc.

Foto: Honda Racing

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