Bimota Tesi 3D Naked 40° Anniversario, in pista con la sua prima sorella a 4 ruote [FOTO e VIDEO]

L’abbiamo provata in pista con la Peugeot RCZ R Bimota

Bimota Tesi 3D naked 40° Anniversariouna delle motociclette più iconiche che esistano, un oggetto tanto ricco di dettagli particolari ed unici che si potrebbe comprare anche solo per metterla in salone e gustarsela con gli occhi. In realtà abbiamo scoperto che è anche una moto appagante alla guida, in occasione del test in pista della prima auto in cui la Casa di Rimini ha voluto cimentarsi, una edizione speciale della Peugeot RCZ R, la Bimota PB104 appunto (la sigla rispetta gli standard delle moto, quindi è acronimo di Peugeot Bimota, 1 perché è la prima, 04 per il numero di ruote). L’articolo su quest’auto, molto interessante già di serie, resa cattivissima da questa rivisitazione lo trovare a questo link.

Il marchio Bimota festeggia 40 anni di attività con una edizione speciale della sua moto più famosa, ma la storia di questa fabbrica romagnola non è legata solo alla Tesi. Nata nel 1966, il nome è acronimo dei cognomi dei tre fondatori: Bianchi, Morri e Tamburini. All’inizio però l’attività era tutt’altra, mentre quella legata al mondo delle due ruote inizia nel 1975. Dopo i alcuni esperimenti su base MV, sono 10 HB1 le prime motociclette prodotte. La sigla indica base Honda (l’”H” iniziale, mentre la B è ovviamente quella di Bimota), il numero è il progressivo del binomio. Preso un CB750 Four come base, motore incluso, il telaio e la ciclistica erano invece opera di profonda rivisitazione. La fama arriva successivamente con la partecipazione alle competizioni, con un buon numero di vittorie. I progetti ed i modelli sono molteplici, su base giapponese (tutte le 4 principali Case) ma anche Ducati e BMW (dal 1995 ed ancora oggi la BB3 è l’oggetto del desiderio che sfoggia il logo romagnolo).

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Quando però si pensa a Bimota non si può non immaginare la Tesi, il modello più strano, ma anche il più legato a questo marchio. Il nome deriva appunto dal fatto che lo studio di un avantreno che separasse la sospensione dallo sterzo è stato la tesi di laurea di Pier Luigi Marconi. Arriva al salone di Milano nel 1983 (con motore VF 400 F), ma lo sviluppo della moto di produzione è tutt’altro che banale e bisogna attendere il 1990, dopo numerosi esperimenti, alcuni dei quali su moto da competizione, che regalano fama al nome di questo modello ancor prima che veda la luce. Il motore della Tesi 1/D è appunto un Ducati (851 da 102 cavalli), il cui basamento risultava più idoneo a fungere da elemento strutturale. Costava la bellezza di 40 milioni di lire, oltre il doppio di una supersportiva, ma era già allora un oggetto assolutamente innovativo, esclusivo e particolare. Dopo alcune vicissitudini Bimota lancia la seconda serie della Tesi del 2006, rivista nell’avantreno, ormai divenuto il suo marchio di fabbrica, e lasciando la meccanica in vista, visto che da ora è priva della carenatura. Arrivano poi la 3D, e la 3D naked a manubrio largo nel 2010. Noi abbiamo provato proprio quest’ultima, in edizione speciale per i 40 anni di attività di Bimota. La curiosità era moltissima, perché quell’avantreno è sempre stato oggetto di mille ragionamenti e discussioni, ma anche perché la Tesi, in qualsiasi versione, non è certo una moto così diffusa e tanto facile da poter guidare.

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L’occasione di poter salire in sella e provare un oggetto di culto per qualsiasi appassionato delle due ruote è quindi carica di aspettative, ma anche di timori. Ad esempio, dovendo realizzare un video che sapesse regalare un po’ di emozioni, i monoruota non potevano mancare e il dubbio su cosa potesse succedere nella fase di “discesa” dell’impennata c’era. Alla fine è molto più “normale” del previsto. Anni di affinamento di un sistema così particolare hanno risolto i problemi più vistosi di cui ci ricordiamo aver letto ad inizio degli anni ’90 e prima. Il fatto di non avere una connessione diretta tra manubrio e ruota quasi non si avverte, l’unica particolarità evidente da subito è l’angolo di sterzata, davvero molto ridotto. Pensate che nei primi prototipi il manubrio muoveva un pistone idraulico, che attraverso una tubatura di raccordo ne muoveva un altro che permetteva alla ruota di sterzare. Un sistema troppo indiretto, che costringeva addirittura a dover anticipare per compensare il tempo di “attuazione” del comando. Per fortuna venne poi abbandonata l’idraulica, a favore dei tiranti meccanici, che rendono il tutto più diretto ed immediato. Il fatto invece che l’azione della sospensione da quella di sterzata della gomma anteriore siano separate rende la Tesi unica in quanto a stabilità in curva. Occorre prendere fiducia e in parte farsi violenza psicologica all’inizio, perché è ovviamente tutto molto diverso rispetto ad una forcella tradizionale. Mancano i feedback diretti sul manubrio, in modo analogo a quanto succede con una BMW dotata di Telelever, tanto per fare un paragone a qualcosa di più conosciuto, anche se il parallelo tra i due sistemi vale fino ad un certo punto. Quello che si ottiene da questa soluzione è racchiuso principalmente in tre vantaggi: la stabilità sul veloce, l’annullamento pressoché totale dei trasferimenti di carico ed il baricentro molto più basso rispetto ad una forcella tradizionale, visto che il grosso del sistema è a pochi centimetri dal suolo. Nel complesso la massa della Tesi 3D è molto ridotta, appena 170 Kg a secco, è strettissima e molto compatta, mentre gli ingombri e gli spazi disponibili per la meccanica obbligano, almeno ad oggi, ad adottare un propulsore privo di radiatori dell’acqua. Per questo ancora viene utilizzato il bicilindrico Ducati ad L di 1078 cc, capace di 98 cavalli e 98 Nm. In tutta sincerità non è un mostro di potenza, ma una moto così non cerca le prestazioni assolute, ma stupisce per le chicche ed i dettagli ricercati e particolari. Come quel telaio unico nel suo genere, che unisce una parte a traliccio in tubi con le due piastre ad omega in alluminio che racchiudono il motore e che uniscono l’avantreno al forcellone posteriore. Il mozzo della ruota anteriore è unico, racchiude i cinematismi per lo sterzo e osservare il tutto per capirne il funzionamento è già di per se un privilegio. Materiali pregiati come il carbonio, utilizzato anche per il serbatoio oltre che per le parti lasciate in vista non verniciate, accompagnano soluzioni uniche e raffinate, con una cura per il dettaglio quasi maniacale. Lo abbiamo detto, la Tesi 3D più che una moto è un oggetto da osservare e gustarsi anche da ferma, perché l’avantreno è solo la più famosa delle sue mille meraviglie. Anche il forcellone posteriore è quasi un’opera d’arte, con i suoi tubi uniti a piccole piastre in alluminio connesse alla ruota. Di altissimo livello anche la componentistica, a partire dai due ammortizzatori, dai cerchi in alluminio forgiato e dai freni Brembo. La 40° Anniversario, realizzata in una tiratura limitata di 40 esemplari, ha una livrea classica Bimota nelle sovrastrutture, mentre quella della nostra prova è elegantemente tutta nera per quanto riguarda tubi e piastre del telaio e dei forcelloni. A noi piace forse di più nel più classico rosso per i tubi, con le piastre in alluminio non verniciato, perché i contrasti fanno risaltare maggiormente i dettagli.

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Quello che si nota fin dalle prime staccate è che la moto resta sempre piatta, con un sostanziale azzeramento dei trasferimenti di carico e con un inserimento in curva diverso da quanto siamo abituati. Quando si prende fiducia e si inizia ad osare i risultati di questa soluzione si sentono non poco. Anche nei cambi di direzione è svelta, perché le masse sono disposte quasi tutte a pochi centimetri dal suolo. Il più grosso vantaggio la Tesi lo prende però in percorrenza curva, dove l’avantreno fa la differenza. Risulta essere molto stabile, al punto che la gomma fredda che scivola sull’asfalto non provoca una pericolosa chiusura dell’avantreno, ma solo un allargamento della traiettoria, all’atto pratico senza mai rischiare nulla. Sembra quasi un’auto che sottosterza piuttosto una moto che perde aderenza all’anteriore, concetto che fa capire la diversa sicurezza, di molto più elevata, che si ha rispetto ad una forcella tradizionale. Via via che inanelliamo giri di pista scopriamo anche che le pedane molto alte, che inizialmente ci erano parse più che altro una fonte di scomodità, sono funzionali al fatto che la Tesi consente angoli di piega inattesi, sempre in totale sicurezza.

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Alla fine è stata la pioggia ad interrompe bruscamente la nostra esperienza prima del previsto, anche perché il fotografo la voleva pulita, dovendo ancora immortalare i dettagli di questo meraviglioso oggetto. Ci resta la curiosità di una prova approfondita su strada, per ora il nostro giudizio è positivo, si tratta di una moto che definire unica è poco. Mette insieme soluzioni decisamente esclusive, un aspetto inusuale e componentistica raffinata. Se dovessimo trovarle un difetto probabilmente ci piacerebbe avere avuto a disposizione un motore più prestante, perché ormai 98 cavalli sono pochini per divertirsi seriamente, almeno in pista. Sarebbe interessante vedere una soluzione così particolare sviluppata ed abbinata ad una supersportiva, ma probabilmente il nostro resterà un desiderio irrealizzabile. Poco importa, perché già così la Tesi è un gran bell’oggetto. Il prezzo? Un dettaglio di poco conto per chi decida di scegliere questa marca e questo modello unico ed esclusivo, oltretutto configurabile in modo quasi sartoriale. Siamo nell’intorno dei 30 mila euro comunque, ma la cifra varia appunto in base a come si decida di configurarla.

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Fotografo: LINGEGNERE

Tester: “Ago” Marco Agosti

Abbigliamento del test:

Tuta: Dainese Laguna Seca Evo
Casco: Scorpion-EXO 2000 EVO AIR

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