Anche la Bylot di Enrico Farina ad Eicma 2012
Bilot è una tipica espressione monzese che indica chi ha fatto una stu pidata o qualcosa d’inutile. Si dice che fosse il nome di un generale napoleonico che in quel di Monza ne combinò di tutti i colori senza raggiungere alcun risultato. Enrico Farina ha chiamato Bylot la sua creatura. Un motivo c’è e come.
“Ho iniziato a “masticare” tasselli e fango sin da giovanissimo con mio padre alle gare di Regolarità. Poi è arrivato il primo cinquantino, subito modificato con forcella Ceriani “gambalunga”. È stato un crescendo di fettucciati e corse, sino nel 1989 all’Incas Rally, organizzato dall’amico Franco Acerbis. Il casco l’ho appeso al chiodo per breve tempo. L’ho ripreso iniziando a partecipare al revival delle Valli Bergamasche e ad altre competizioni di regolarità d’epoca. È stato come versare benzina sul fuoco: caccia nei mercatini e nelle mostre così”. E mi sono ritrovato collezionista. Dopo un po’ però ammirare soltanto le mie moto e usarle in qualche revival non mi basta più. Ho voglia di sperimentare. Inizio a mettere insieme strani accrocchi ed esplode il trip. Trovo a Rimini una bellissima Laverda 125 stradale, la compro. È un attimo trasformarla in regolarità: quattro modifiche, il serbatoio del Peripoli Giulietta America e il gioco è fatto. nata nel serbatoio accanto al tappo Monza. Una domenica incontro sul campo di Verderio Superio- l’amico Rolandi in una gara di pit cross. Gareggia e stravince con il suo gioiello Rotek autoprogettato, tutto ricavato dal pieno, una meraviglia”, ha spiegato Farina.
“Penso alla mia Laverda e mi viene un’idea. Inizio a buttare giù progetti e a parlarne con amici esperti e fidati. Borghin (quello della Gabor) e l’espertissimo Malanchini mi danno consigli. L’Angelo di Carugate, che fa il restauratore, mi dà invece del matto, poi però ci dorme sopra e mi dice che si può fare. Nasce così la Bylot, una provocazione, poi si vedrà. Dell’idea Laverda non è rimasto nulla, il telaio è un classico doppia culla ma rialzato. Ogni componente e frutto della mia fantasia, il motto è: “mi piace così”. Non mi vergogno di avere “copiato”. Il manubrio con il traversino inbullonato era bello allora e lo è ancora oggi. Il supporto fanale fissato alla piastra era usato sulle Gilera Frigerio, ma anche sulle Italjet Mangusta scrambler. Vi ricordate il bellissimo orologio riserva di carica 8 giorni della Vdo impiegato dalla squadra Gilera alla sei giorni del 1960? L’originale è introvabile, ma non c’è problema, basta chiedere e voilà la replica incastonata nel serbatoio accanto al tappo Monza. Per quanto riguarda il motore è un 170 con cambio classico a cinque marce, ma sono in programma altri propulsori ben più performanti. Per ora vediamo l’effetto che fa”, ha concluso.
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